Inhaltsangabe
Orbene, nel 1964, anno in cui è uscita la prima edizione di Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda per i tipi dell’editore Vysšaâ škola, anche la lingua franca era contesa tra Urss e USA: per colpa della guerra fredda, c’era chi voleva far passare come lingua franca l’inglese e chi proponeva il russo. E questo è stato un danno per la scienza, e vittime ne sono state pubblicazioni di prim’ordine come questo bel manuale di Revzin e Rozencvejg.Cerchiamo di recuperare il tempo perduto pubblicandolo oggi, a mezzo secolo esatto dalla prima uscita. Di certo questo mezzo secolo di ritardo ha ostacolato lo sviluppo della scienza della traduzione, che così ha avuto modo di impantanarsi nella palude della corrispondenza biunivoca, dell’equivalenza e del saussurismo. Perfino il concetto di «strutturalismo» è stato vittima della cortina di ferro, e molti occidentali ignorano che è nato a Praga negli anni Trenta, e non a casa Lévi-Strauss negli anni Sessanta.In questa prefazione cerchiamo di chiarire soprattutto alcune questioni di natura terminologica e traduttiva che poi, data la natura del testo, sono tutt’uno con le questioni di sostanza, di contenuto.La lettrice italiana trova in questo manuale la locuzione «letteratura artistica». Non si tratta d’un calco sul russo, se per «calco» s’intende che al traduttore è sfuggita una diversa impronta linguoculturale della cultura emittente. Si tratta di una concezione maggiormente accurata dei tipi di testo che evita la grossolanità della locuzione «traduzione letteraria», sotto il cui ombrellone (bucato!) trova posto di tutto, purché sia pubblicato da un editore: in realtà si tratterebbe della «traduzione editoriale» (sempre che ci sia bisogno di distinguerla da quella non editoriale, cosa di cui ci permettiamo di dubitare). Noi sposiamo quindi la concezione slava (non sovietica, ma panslava) secondo cui esistono differenze (anche se non di principio, come mostra Lûdskanov) fra traduzione artistica (di poesia e narrativa e saggistica d’autore) e non artistica (settoriale, divulgativa, scientifica, documentaria).La lettrice trova qui la terminologia – proposta da Popovič nel 1975 – prototesto/metatesto per significare originale e testo tradotto. È un omaggio all’approccio dichiaratamente semiotico degli autori, che in questo modo si ritrovano riagganciati al filone dominante della semiotica della traduzione, o dell’approccio semiotico alla traduzione, come l’ha chiamato Lûdskanov nel 1967.Nell’editoria italiana si opera, in sordina, una distinzione tra nomi propri di serie A e di serie B: quelli di serie A, famosi, sono tradotti (Guglielmo il Conquistatore, Cartesio, Demostene), mentre quelli di serie B, sfigati, sono lasciati in originale (Peirce, Lûdskanov, Morris). Noi, che siamo editori di noi stessi e quindi non abbiamo più nessuno con cui litigare, in un primo tempo avevamo pensato di tradurli tutti, creando così Ferdinando di Zozzura, Carlo Sandero Perzi, Alessandro Ludscanova e Antonio Popo-Uova, col che i nostri autori sarebbero diventati Isacco Revisini e Vittorio Ramodirose, ma poi ci siamo ricreduti e abbiamo lasciato in originale anche quelli (Demostenes) volgarmente tradotti.Veniamo ora più propriamente al contenuto del Manuale. «La scienza che aspira a descrivere la traduzione come processo deve essere teorica e non normativa»: questo principio non sempre viene seguìto dai colleghi. C’è però da dire che all’università italiana si tende a fare un minestrone di insegnamenti fra lingua, traduzione da e verso la lingua madre, letteratura, filologia, linguistica della lingua, cultura e chi più ne ha più ne metta. Dalla nostra posizione privilegiata di scuola professionale di traduzione scritta e orale, di livello universitario ma di qualità professionale, dove siamo abituati a insegnare ognuno solo per la propria specializzazione, e a distinguere in modo netto lingua e traduzione (oltre ai vari tipi di traduzione), riusciamo a capire che ci sono àmbiti in cui si...
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